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"In principio è l'amore"

Mons. Mansueto BIANCHI

Nella I enciclica ogni Papa dice la gravitazione del cuore, ciò che più lo appassiona, gli urge la vita ed il ministero. La Ia enciclica è la stella polare, il sogno del suo pontificato, oltreché la sua strada di cristiano e di discepolo.

Questa è un’enciclica più orientativa ed ispirativa che progettuale o programmatica: per il suo stesso argomento non tocca una dimensione o un settore della vita di Cristo, ma la sorgività di tutto l’evento cristiano: Dio/Trinità, Dio come fontalità dell’amore. Essa segna dunque l’orizzonte, la stella che chiama ed orienta il cammino, non ancora le tappe o lo snodarsi della strada. 

Vorrei scorrere l’enciclica con i vostri occhi, vorrei usarla come alfabeto per decifrare la vostra vita e la vostra scelta di confratelli della Misericordia, vorrei attraverso di essa scoprire il “cielo” che c’è dentro di voi e dentro i gesti e le azioni apparentemente grigie che ogni giorno compite. Vorrei che insieme scoprissimo quanto “cielo” passa tra le vostre mani.

Scrive il Papa nelle prime righe dell’Enciclica “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona”. Ecco all’inizio di tutto c’è l’incontro, c’è l’amore: in principio è l’amore.

Se all’inizio c’è l’incontro, c’è l’amore, ciò significa che nessun uomo è mai solo, nessuna vita come che sia è mai veramente desolata, perché sempre, comunque e dovunque tu sia c’è la presenza, c’è l’accompagnamento, c’è l’abbraccio di un Dio che ti ama. Quanto più una vita è sola, quanto più una persona è derelitta, tanto più essa, o col gemito della preghiera o col grido della rivolta, o col silenzio cupo della disperazione, cerca e chiama l’incontro, cerca e chiama l’abbraccio.

Fratelli della Misericordia: voi siete l’abbraccio di Dio alla vita che geme.

PAPA FRANCESCO INCONTRA LE MISERICORDIE.

In principio è l’amore: voi siete l’amore, il volto dell’amore, che si fa intensamente compagno di strada quanto più il cammino diventa faticoso ed aspro per la gente. 

In principio è l’amore: fratelli della Misericordia, voi siete la memoria di questa verità, amica ed umanizzante, all’orecchio frastornato ed al cuore dissipato di una città, di una società che sembra volgere le spalle.

Questa affermazione fontale dell’enciclica: in principio è l’incontro, in principio è l’amore, trova una ripresa al paragrafo 2 “L’amore di Dio per noi è questione fondamentale per la vita e pone domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi”. Allora se il nostro essere uomini si chiarifica e si illumina nell’incontro con l’amore di Dio, ciò significa che non si è mai tanto uomini come quando si ama. Occorre ridircela questa verità, forte e chiara, in un tempo come il nostro, in cui sembra essere al crepuscolo. Occorre che la confraternita di Misericordia dica con chiarezza e con fermezza alla gente di Lucca, alle istituzioni, ai partiti, alle amministrazioni che una cosa è il progresso, un’altra cosa la civiltà; una cosa la prosperità, un’altra cosa l’umanità. Se si consuma di più, se si produce di più, se c’è più tecnologia, più informazione, non è detto che si sia più civili, più umani. La nostra cultura, i nostri ambienti, spingono a pensare che essere uomini vuol dire possedere, potere, piacere, apparire, vincere. Voi dovete ricordarci che l’unico termometro dell’essere uomini, dell’essere civiltà è l’amore, è il servire e l’amare. Questo siete voi, questo è la Misericordia dentro la città. E lasciatemi dire ancora di più: se è vero che il nostro essere uomini si chiarifica e si illumina nell’incontro con l’amore di Dio, allora non solo è vero che tanto più si è uomini quanto più si ama, ma ancora di più è vero che l’essere cristiani rappresenta oggettivamente la più ampia, sicura, completa possibilità di realizzazione della nostra umanità, di essere uomini. Non è vero che l’essere cristiano si innesta sull’essere uomo, è vero che la possibilità di essere uomo fiorisce e si realizza dentro lo spazio dell’essere cristiano. Il cristiano non aggiunge qualcosa all’umanesimo, ma lo costituisce, lo giustifica, lo difende fino al prezzo di sangue: molte delle battaglie che oggi la Comunità cristiana combatte, spesso da sola e nel giudizio sufficiente ed arrogante della cultura dominante e del “politicamente corretto”, sono proprio battaglie per la difesa di questa diginità umana, riconosciuta, incontrata, amata nella persona di Gesù Cristo e nel dono del Suo vangelo. Dio non ci ha fatto prima uomini e poi cristiani, come il 2° volume di un’unica opera, ci ha pensati, voluti, realizzati in Cristo Gesù, ci ha fatti a immagine di Lui, perciò figli; in Lui ancora ci vuole, ci salva, ci ama. L’essere uomo è oggettivamente interno all’essere cristiano. Questo non significa che solo i cristiani possono essere veramente uomini, ma che nessuno può arrivare a realizzare gradi elementari o le vette supreme della dignità umana se non in forza del suo oggettivo radicamento in Gesù Cristo, della sua oggettiva appartenenza a Gesù Cristo, anche se non lo sa, anche se per incolpevole ignoranza non lo vuole. 

Confratelli della Misericordia, vi dico questo non per fare integralismo religioso o cristianizzazione forzata.  Vi dico questo perché non sentiate la vostra identità cristiana e la vostra appartenenza ecclesiale come qualcosa da tenere nascosta, o da dire sottovoce, altrimenti potreste sembrare persone di parte, persone schierate per una fazione, perciò negate all’apertura, alla laicità, ad una presenza e ad un servizio senza esclusione e pregiudizi. E’ vero esattamente il contrario! Gesù Cristo non è una parte, Gesù Cristo è l’universalità proprio perché è la radice, la possibilità, il fondamento dell’essere uomo. La parzialità, la chiusura, il confessionalismo, l’integralismo nascono fuori di Lui e contro di Lui, non in Lui. Un cristiano si porta dentro la capacità e la forza di essere aperto a tutti, accogliente, capace di amore e di servizio, capace di un rispetto senza misura verso idee, religioni e sistemi di vita e di valori diversi dai suoi, da far impallidire e balbettare ogni posizione agnostica, atea e laicista. 

Insisto su questo perché vorrei che cessassero certe timidezze sul radicamento cristiano della vostre Associazioni, certi impacci e metaforici rossori, quando si tratta di vivere e dichiarare la propria appartenenza ecclesiale. Mi si dice che certe Misericordie hanno cancellato il nome di Dio dai propri statuti per non apparire confessionali o di parte. Torno a dirvelo: Gesu Cristo, la Chiesa non sono la vostra gabbia, sono le vostre ali!

Il Papa, nella prima parte dell’Enciclica, analizza lungamente due componenti dell’amore che sono presenti in Dio e nell’uomo: l’amore è al contempo eros ed agape, esso è dono, è offerta di sé, ma è insieme anche slancio, entusiasmo, passione. Vorrei che non dimenticaste, che non metteste tra parentesi questa componente “forte” del vostro ruolo e del vostro servizio: la passione!

Io credo che dentro di voi, dentro quello che fate, dentro la vostra organizzazione debba esserci passione: la passione per ciò che si fa, perciò che si è. Questa passione è un valore aggiunto, anzi è un valore generativo. Il volontariato nasce dalla passione, dallo slancio verso il bisogno e la sofferenza. Questa passione dovete averla nel cuore, ma anche nelle mani e nelle parole. Essa diventa calore umano nei rapporti, diventa forza di persuasione nella parole, diventa compassione verso chi soffre, diventa ciò che fa della vostra organizzazione non una struttura o una istituzione, ma una casa, la casa del "noi".

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Per giungere a questa pienezza e purezza dell’amare e del servire occorre che si compia un esodo dentro di noi o, come scrive il Papa, “un cammino progressivo di uscita da se stessi per andare incontro all’altro”. Bisogna che le necessità, le sofferenze od anche semplicemente le attese della gente che non conta, diventino sempre più importanti per noi, per le nostre associazioni e confraternite.

Le voci lievi, spesso sovrastate, dei deboli devono diventare un boato potente dentro di noi, avere una risonanza da scomodarci e da inquietarci, da farci uscire, come persone e come associazioni, incontro a loro. Voi siete come il Signore che va spigolando nel campo dell’umanità, siete come Lui che forma il Suo pane raccogliendo quelle briciole di umanità che cadono dalla tavola imbandita della nostra opulenta e dissipata civiltà.

Il Papa apre la seconda parte dell’Enciclica, al numero 19, citando S.Agostino “se vedi la carità, vedi la Trinità”. Mi preme di cogliere questa citazione per dirvi una cosa semplicissima ma importantissima: la carità è di più!

La carità è di più della solidarietà, è più che la giustizia, è più che il funzionamento e l’efficienza, la carità è più che la professionalità. 

Vi dico questo perché non vorrei che associazioni come la vostra, anche a livello di parole, scambiassero la solidarietà con la carità, si lasciassero espropriare di questo termine così profondamente evangelico per una parola molto più riduttiva e povera. La solidarietà risponde alla giustizia, la carità risponde all’amore. La solidarietà ha patria culturale nei dinamismi sociali, la carità nel vangelo. Parafrasando S.Agostino si potrebbe dire: se vedi la solidarietà vedi la giustizia, vedi la società; ma se vedi la carità vedi l’amore, vedi la Trinità. 

Proprio perché “la carità è di più” e voi siete una forma organizzata di carità, vorrei chiedervi di mantenere desto nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie, il richiamo alla carità. Con la vostra presenza, la vostra azione, la vostra parola voi dovete parlare all’orecchio ed al cuore della parrocchia, proprio per ricordarle che “in principio è l’amore” e che esso, l’amore, è la vita della Chiesa e non altro. Cercate perciò l’inserimento, il contatto con la comunità cristiana, non allentate i legami, siate partecipi della sua vita perché la Parrocchia è ricca di voi e voi di lei. 

Avviandomi a concludere vorrei toccare uno dei punti più alti e più belli dell’Enciclica, quando il Papa parla dell’unità dell’amore. Egli scrive semplicemente così “Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono  un unico comandamento” (par. n. 18)

E’ proprio la passione che deve aiutarvi, spingervi a non contentarvi della “prestazione” ma a cercare l’incontro con le persone, cioè il “cuore a cuore”. La prestazione cura il pezzo anatomico, l’arto ferito o malato, l’incontro cura la radice, guarisce la persona, sana la vita. 

Voi lo sapete che le ferite più difficili, che fanno più male, sono quelle del cuore, sono le ferite della vita: la solitudine, la delusione, la mancanza di senso, il non essere amati, l’incapacità di amare, il senso di inutilità. La sofferenza fisica, la malattia, rappresentano sempre un’emergenza della vita e perciò una porta aperta per entrare dentro la vita, per raggiungere il cuore delle persone, per curare il cuore ferito, per “accendere il cuore” spento o raggelato. Non perdete lo slancio, non estinguete la passione!

Scrive il Papa al paragrafo 5 “Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di essere stato avversario della corporeità; di fatto tendenze in questo senso ci sono state sempre. Ma il modo di esaltare il corpo cui oggi assistiamo è ingannevole… L’apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità” 

Voi, fratelli della Misericordia, siete i “servi della corporeità, i servi del corpo”. Voi infatti soccorrete il corpo ferito, vi chinate sul corpo ammalato, In certo senso affermate un valore che sembra andare contro i criteri ed i gusti dominanti, che vogliono il corpo sempre bello, giovane, seducente, un corpo da vetrina. Con questo gesto voi affermate che la vera dignità del corpo non è nella sua prestanza e nella sua perfezione formale, non è nel successo o nella ammirazione, ma è nell’essere espressione di una persona, manifestazione di una vita; la dignità del corpo è nell’essere anch’esso immagine della gloria e della bellezza di Dio, da Lui amato e redento. 

Per questo voi sapere amare un corpo, lo sapete soccorrere e servire, anche quando secondi i criteri umani non ha più gloria né bellezza. Nel corpo umiliato voi riconoscete, amate e servite la dignità della vita, la dignità umana che tale rimane in ogni momento ed in ogni stato: nel corpo umiliato voi riconoscete e servite la gloria della Croce!

L’altro volto dell’amore è l’agape. Scrive il Papa “questa parola esprime l’esperienza dell’amore che diventa veramente scoperta dell’altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro, Non cerca più se stesso… diventa rinuncia, è pronto al sacrificio” (par. n. 6)

L’agape è amore oblativo, l’amore che si dona, che cerca l’altra persona non per ottenere qualcosa ma per offrire qualcosa. L’agape è l’amore capace di “reggere”, di fare i conti anche con la fatica, con la delusione, con il fatto che non sempre le persone meritano di essere amate. L’agape è l’amore non domato, non spento dalla sofferenza, anzi esaltato e promosso proprio da quel sacrificio che spesso si intreccia all’amore. L’agape è quando tu pensi che l’amare ed il servire sia già una ricompensa sufficiente a se stessa e non ti attendi niente in cambio, neppure la riconoscenza o almeno il riconoscimento. 

L’amore come agape è quando davanti a te fa titolo non il merito della persona, ma la sua necessità, il suo bisogno. Per cui dedichi tempo, energie, risorse, dedichi te stesso anche a chi non se lo merita, proprio perché in questo si rivela ancora più bisognoso: nella necessità di essere amato. L’agape è l’amore tipico di Dio verso di noi, verso l’uomo peccatore, perciò incapace ed indegno di ricevere l’amore.  L’agape è la gratuità e la ‘immotivatezza’ dell’amore: l’agape è lo “stile” con cui ama Dio. Bisogna che questo stile di Dio, fatto di gratuità e di immotivatezza, rimanga sempre dominante e riconoscibile non solo nel singolo gesto del Confratello, ma anche nell’organizzazione, nella struttura della Misericordia. State attenti a non diventare corpi pensanti, corpi troppo pesantemente strutturati, state attenti a non farvi prendere la mano dal criterio dell’efficienza e della “produttività” dimenticando che voi siete soprattutto un segno: segno della gratuità, segno della libertà, segno dell’amore che serve. State attenti a non diventare troppo azienda e poco “casa”, a non perdere l’importanza del “noi”, dell’incontro tra persone, della evidenza e riconoscibilità del dono a vantaggio della mera funzionalità e della materialità del servizio. Soprattutto (e ve lo dico con trepidazione) state attenti ai soldi, al ruolo che tendono ad assumere ed a svolgere nelle vostre Associazioni, perché il denaro bussa alla porta con l’aria dimessa del servo, ma ha una irresistibile vocazione a diventare padrone! Non vi lasciate aziendalizzare, non diventate impresa sia pure sociale. E’ chiaro però che la linea di resistenza a questo passa anzitutto nella vostra mente e nel vostro cuore. 

L’amore è uno, non c’è un amare l’uomo che non sia, almeno implicitamente, un amare Dio di cui l’uomo è la più perfetta immagine, ma non c’è neppure un amare Dio che non diventi necessariamente un amare l’uomo. 

Vorrei trarne alcune conseguenze che toccano da vicino la vostra vita ed il vostro servizio.

Ogni gesto di amore che noi compiamo, ogni servizio che voi operate, se riuscite a mettervi dentro anche un solo briciolo di amore, anche un solo desiderio di amore, è un riflesso di Dio dentro le pieghe e le piaghe della vita. Ogni volta che vi chinate su una sofferenza o su un bisogno, anche con un solo briciolo di carità, voi siete il volto di Dio, siete le mani ed il cuore di Dio, buon Samaritano dell’uomo ferito e solo.

Ma in quello stesso gesto che voi compite sul fratello, in quel vostro chinarvi sopra qualcuno, è Dio stesso che si china sopra di voi, che vi raccoglie, vi soccorre, vi sana e vi salva. Nel gesto con cui voi anche solo poveramente amate, in quello stesso gesto, voi siete amati senza misura. Nel gesto con cui soccorrete siete soccorsi, nel gesto con cui curate gli altri Dio sana il vostro cuore, nel momento in cui amate siete incommensurabilmente amati. Gli operatori di Misericordia ricevono a loro volta misericordia. Scrive il Papa “l’amore moltiplica l’amore”. 

Ancora una conseguenza del fatto che l’amore è uno, consiste nell’accorgerci che non c’è amore vero al Signore che non divenga necessariamente amore all’uomo, apertura alla vita, disponibilità al servizio. Dice il Papa “se nella mia vita tralascio completamente la tensione per l’altro, volendo essere solamente ‘pio’ e compiere i miei ‘doveri religiosi’ allora si inaridisce anche il rapporto con Dio… Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama”. (par. n. 18)

Se tante volte la proposta della Misericordia, o più generalmente del servizio, trova così poca accoglienza e corrispondenza nelle nostre parrocchie e comunità, è perché in realtà non amiamo il Signore e non crediamo abbastanza in Lui: siamo capaci tristemente di amare solo noi stessi. Povertà di servizio ai fratelli è povertà di fede e di amore a Gesù Cristo: è l’evanescenza di Dio dal cuore dell’uomo!

Ma ancora una conseguenza vorrei sottolineare a partire dall’affermazione che l’amore è uno, prima di concludere. Non si può veramente amare l’uomo senza simultaneamente immergerci nell’amore di Dio per noi, per l’uomo, così come in  Cristo si è rivelato e ci è stato donato. E’ quanto il Papa scrive nel paragrafo 18 dell’Enciclica. In altri termini solo Dio sa amarci e può veramente ed adeguatamente amarci. Il nostro volerci bene dobbiamo impararlo e riceverlo da Lui. Diversamente, lasciati a noi stessi , siamo capaci solo di amare chi ci ama, di servire chi se lo merita, di considerare prossimo solo chi mi corrisponde, chi mi appartiene, chi mi assomiglia. Siamo capaci forse di rapporti corretti, non offensivi, ma anche indifferenti ed asettici. In Gesù Cristo impariamo che l’amore è sempre il primo a muoversi per andare incontro, che non guarda il merito ma il bisogno, che sa perdonare non fino a 7 volte ma fino a 70 volte 7, che considera un guadagno il potersi spendere e donare, che ama i nemici e così disarma l’odio. Al di fuori di questo immergerci nell’amore di Dio amando i fratelli, il nostro amore al prossimo rimane effimero, giocato dalle circostanze, condizionato dalle stanchezze e dalle delusioni, orientato all’autogratificazione, legato al “me la sento”, alla voglia, al momento, alla stizza del “perché io si e lui no”.

E’ da questo contatto forte con l’amore di Dio e con il vangelo di Gesù che impariamo come l’amore non è amore se non è gratuito, fedele, affidabile, aperto al sacrificio fino anche al dono della vita. L’amore non è amore se non è come Dio! Per questo io credo che i Confratelli della Misericordia, che non portano solo solidarietà, ma carità e perciò tentano di amare e servire gli altri come Dio ama e serve noi, dovrebbero con i gesti e le parole fare un grande dono alla gente: regalare i motivi che li spingono a fare questo, ad agire così! Mentre con le mani e gli strumenti tecnici soccorrete le necessità fisiche e sociali, con le parole e la testimonianza dovete regalare le motivazioni che vi determinano ad essere confratelli della Misericordia. Vi accorgerete che quelle motivazioni curano la vita perché riscaldano il cuore e danno fiato alla speranza. Si deve capire che l’amore che voi portate è quello del vangelo e non quello dell’ONU, si deve capire che, arrivati alla sera, voi vi misurate e fare l’esame di coscienza sul crocifisso e non sul galateo. Per questo vi dico: quando fate il vostro lavoro non vi dimenticate di regalare alla gente i motivi del “chi ve lo fa fare”, perché allora non curate solo le ferite, curate la vita. 

Occorre che sia chiaro che questo regalare i motivi, questo regalare il radicamento cristiano, non è così fondamentalismo né proselitismo, questo è testimonianza nel rispetto più profondo dell’autentica laicità. 

Vorrei che non dimenticassimo un gesto di Gesù, un gesto così vicino a tanto nostro agire come Misericordia, a tanti nostri interventi sul disagio sociale e personale: si tratta della moltiplicazione dei pani per la folla affamata. Ricordate il gesto che gli evangelisti ci narrano? Gesù “prese i pani ed alzò gli occhi al cielo”; Gesù mette insieme il pane ed il cielo, la risposta alla fame del corpo ed all’attesa dell’anima, dona il pane e dona Dio nel pane. Anche voi, confratelli della Misericordia, non potete donare solo il pane, ma con il pane dovrete donare il cielo perché, noi cristiani lo sappiamo e lo dobbiamo fare capire: il cielo è il cuore del pane ed il pane è il volto del cielo! Non possiamo separare il cuore dal volto ed il cielo dal pane. 

Siamo così giunti alla conclusione di questo breve itinerario attraverso la 1^ Enciclica di Benedetto XVI° “Deus charitas est”, che ho cercato di leggere con gli occhi ed il cuore di un confratello della Misericordia. La preghiera e l’augurio con cui concludo è che mentre voi fate la carità, la carità faccia voi.

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